Nuovo stradario comunale, un’occasione per preservare la memoria culturale

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«Nomen est omen», dicevano gli antichi romani. E se da un nome davvero dipendeva la buona o la cattiva sorte di un uomo, lo stesso doveva valere anche per i nomi dati a luoghi e strade. Pur non dando troppa fede a simili superstizioni, succede però che molti luoghi e strade del nostro territorio, fino ad oggi, non siano mai stati tenuti a battesimo. E se esistente, in alcuni casi il nome non è stato tramandato correttamente o è stato inserito in modo errato nelle prime cartine geografiche svizzere, redatte da eccellenti topografi che però non disponevano di necessarie conoscenze relative a una corretta grafia del dialetto. In altri casi ancora i nomi sono stati cambiati per delle scelte funzionali al turismo. Solo a titolo di esempio siano ricordati il nome del torrente “Saient” divenuto “Saent”, oppure quello di “Meschino” mutato in “Miralago”.

Molte di queste vecchie denominazioni si sono ormai cristallizzate e fanno parte, oggi, del nostro linguaggio comune. Sono quindi accettate dalla stragrande maggioranza degli abitanti. Ad onor del vero va ricordato che alcuni toponimi possono variare anche a seconda delle differenze dialettali tra paesi, o addirittura tra famiglie (come ad esempio “San Rumedi” e “San Rumeri”, oppure “Canculugn” e “Cunculugn”, solo per rimanere nell’orticello di casa mia). Parlando in termini più generali, l’evoluzione stessa della lingua – parlata e scritta – segue un simile andamento. I nuovi vocaboli (anche quelli di origine straniera) che vengono introdotti in una lingua, di primo acchito incontrano una certa resistenza. Ma sia per una loro valenza sia per la riluttanza dei parlanti ad usare termini meno alla moda, entrano di prepotenza nel linguaggio e divengono a loro volta la nuova regola. D’altronde già Eraclito riconobbe nel fatto che ogni cosa sia in continua trasformazione una fra le peculiarità di questo mondo.

Ma tornando alle strade delle nostre contrade, proprio in questi ultimi mesi gli amministratori locali si sono dovuti occupare del nuovo stradario comunale. Infatti, in base alla Legge cantonale sulla geoinformazione (217.300), approvata dal parlamento retico il 17 giugno 2011, i comuni sono competenti per “la determinazione dei nomi delle vie e dei numeri delle case” (art. 20, cpv. h). Ai proprietari di case del comune di Poschiavo, nel mese di ottobre del 2017, è quindi stata recapitata una lettera nella quale veniva notificato il nuovo numero civico del loro immobile con il nome della strada, nonché un periodo di esposizione dello stradario presso la Casa comunale.

Stando a quanto comunicato nella seduta del Consiglio comunale di Brusio, il 2 novembre 2017, la stessa cosa sarebbe avvenuta anche per i proprietari del suo territorio, se non fosse che a Poschiavo alcuni destinatari della lettera, nel frattempo, hanno segnalato il loro malcontento. Fra di essi anche Fernando Iseppi, oriundo di Brusio, oggi residente a Coira e Poschiavo, e membro della Commissione della nomenclatura cantonale. Il Comune di Brusio è perciò corso subito ai ripari. E prima di esporre pubblicamente il nuovo stradario, si è già attivato per avere un suo parere (come annunciato nella seduta del Consiglio dell’11 dicembre 2017 al punto “Varia”). Nel frattempo anche le autorità del Comune di Poschiavo, assieme allo studio d’ingegneria «donatsch + partner» – a cui è stato assegnato il compito di rilevamento degli indirizzi degli edifici –, hanno già avuto un colloquio con Fernando Iseppi ed altri concittadini.

Per Fernando Iseppi, ex docente di storia e italiano presso la Scuola cantonale grigione a Coira – contattato dalla nostra redazione –, lo stradario dei comuni dovrebbe innanzitutto rispettare la toponomastica preesistente nei documenti storici o nella memoria collettiva. La trascrizione dei nomi locali e delle vie andrebbe poi uniformata e adeguata al “Lessico dialettale della Svizzera italiana”. Eventuali discrepanze ortografiche tra i nomi dei luoghi e quelli delle strade andrebbero evitate, e poiché si è optato per la variante dialettale dei nomi, non è auspicabile una commistione tra nomi in dialetto e altri in italiano. Inoltre, andrebbe altresì evitato che lo stesso nome venga utilizzato per più strade che si incrociano o scorrono parallele.

Agli occhi di coloro che sono abituati a ben altre imposizioni calate dall’alto, la questione potrebbe apparire di second’ordine, se non banale. Ma vi è un aspetto in questa vicenda che va sicuramente oltre l’ordinario. Il nome di un luogo o di una via in cui un cittadino è cresciuto e vive in case nelle quali hanno dimorato generazioni di suoi antenati, non è un fatto banale, ma connaturato alla persona medesima e alle sue proprie origini. Si tratta della memoria culturale della gente, di un patrimonio immateriale paragonabile, se vogliamo, al cognome che ognuno di noi porta. E a pensarci bene, per molte genti delle nostre montagne – analogamente al nome delle strade oggi – un tempo anche i cognomi non esistevano. Fu la Chiesa, solo dopo il Concilio di Trento (1545-1563), che ne impose l’uso.

Per il borgo di Poschiavo – come spiegatoci da Fernando Iseppi – il primo documento in cui comparvero i nomi di una decina di strade in buona lingua risale al 1891, cui fece seguito, nel 1905, il primo piano catastale con tutte le vie del Borgo, sempre trascritte in italiano. Fu poi soltanto nel 1982 che l’amministrazione locale decise di apporre delle eleganti targhe in serpentino nelle vie del Borgo e recanti la denominazione in dialetto poschiavino. Con i nuovi stradari comunali, ora anche tutte le nuove strade di Poschiavo e degli altri paesi della valle riceveranno il loro nome. Su ogni casa dei centri abitati verrà affissa una targa con il nuovo numero civico e il nome della strada, che in molti casi riprenderà quello della rispettiva frazione o di un toponimo senza recare l’appellativo “via” (che sarà comunque sottinteso).

Amministrare la cosa pubblica, si sa, non è compito facile. A volte le decisioni devono essere prese in tempi brevi e in modo pragmatico, altre volte è opportuno concedersi un tempo ragionevole per ponderare meglio la causa e agire in modo più teoretico, altre ancora è preferibile trovare una via di mezzo. Nel caso dello stradario, personalmente propenderei per la seconda variante, avvalendomi del parere di esperti e trovando soluzioni concertate con l’intera popolazione residente. Lo dico sapendo dell’enorme dispendio di energia e tempo che la stesura di uno stradario comporta, ma il “gioco” potrebbe valere la candela.


Achille Pola