Il Mulino d’Aino rende omaggio alla Giornata svizzera dei Mulini

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    Malgrado la concomitanza di più eventi in valle (Festival delle erbe, Cresime, Cantine aperte) sono stati un centinaio i visitatori che hanno risposto all’invito dell’Associazione Mulino Aino.
    L’ASAM (Associazione svizzera degli Amici dei Mulini) indice ogni anno la Giornata dei mulini, che si tiene sempre il sabato dopo l’Ascensione. In questo giorno, in tutta la Confederazione, i mulini, testimonianza dello spirito creativo dell’essere umano, aprono le porte ai visitatori. La loro storia illustra uno dei percorsi più significativi dei progressi tecnici dell’umanità.
    Un’eredità culturale alla quale anche noi abbiamo voluto fare onore.
    Tempo un po’ grigio, in bilico tra timide piogge e momenti asciutti, tre mucche sdraiate tranquille a lato della gora, indifferenti al via vai dei visitatori, acqua ancora colorata dal disgelo, rubata al fiume per dar movimento alle macine, e poi …ecco il rumore ritmato del mulino.
    Incredibile pensare che tutto parta da una ruota affidata alla forza dell’acqua!
    Un tempo era l’uomo a spingere e far ruotare le macine, e poi la geniale intuizione: perché non sfruttare il movimento dell’acqua?
    Qualcuno deve aver saputo immaginare per la prima volta un movimento orizzontale (lo scorrere dell’acqua) capace di spingere un movimento circolare (il ruotare della ruota). Collegando poi una ruota all’altra con semplici cinghie ecco che il movimento si moltiplica e la struttura si articola in una vera e propria macchina da lavoro.
    Affascinante veder aprire un grande rubinetto, che pare un timone, e assistere alla messa in moto di tutte quelle ruote fino a trasmettere il movimento alle macine! Anche il rumore ha qualcosa di insolito, ritmato come un battito cardiaco, pare lì a dirti che dentro quegli ingranaggi è stata macinata la storia dell’uomo e della sua ingegnosità.
    Tinguely, l’artista dalle astruse macchine ad ingranaggi senza tempo, deve essersi fatto ispirare dai mulini! Così almeno ho pensato intanto che dentro il locale dell’officina, annerito dal fuoco, dal ferro e dall’olio, altre ruote collegate ad altre cinghie, pure messe in movimento dalla stessa acqua, muovevano trapani capaci di bucare il ferro.
    Pareva davvero una sua scultura, mentre invece era tutta opera ingegnosa di artigiani capaci. Capaci di immaginare e di fare, di chiedere in prestito l’acqua al fiume e utilizzarla dentro un unico complesso per tre tipi di marchingegni: azionare le grosse macine in sasso, dare fiato alla forgia e movimento ai trapani, attivare la segheria. Semplicemente geniale!

    Complimenti a chi si è dato da fare in questi anni per rimettere in vita questo complesso artigianale preindustriale, non relegandolo solo a sterile museo, ma riportandolo in attività. Macinare a pietra è forse il modo più rispettoso e delicato di trattare il grano, mantenendo intatte le proteine contenute nel minuscolo chicco.
    E intanto che gustavo degli squisiti ravioli di grano saraceno, ripieni di patate verza e formaggio, pensavo che erano un regalo della terra, dell’acqua, del sasso e della ruota.
    Una poesia.


    Serena Bonetti