Casa Console ospita le sculture di Not Bott

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Grande affluenza di pubblico, domenica pomeriggio 18 dicembre, per la presentazione e apertura della mostra temporanea «Not Bott – Sculture». Una bella retrospettiva sull’opera dell’artista della Val Monastero, allestita al piano terra del museo d’arte Casa Console a Poschiavo.

La retrospettiva sarà visitabile fino al 31 ottobre 2017

Come sottolineato dal direttore del museo, Guido Lardi, l’intento delle mostre temporanee sarebbe, da un lato quello di incentivare il numero delle visite, dall’altro quello di scoprire il patrimonio artistico di personalità scomparse, legate al nostro territorio. Il nome e l’opera di Not Bott (1927-1998) si sono da tempo saldamente fuse con la Valposchiavo e la sua temperie artistico-culturale degli ultimi decenni del Novecento. Curata dal figlio dell’artista e critico d’arte, Gian Casper Bott, la mostra offre una selezione di ventotto opere scolpite fra il 1970 e il 1996, che sintetizzano la parabola artistica dello scultore originario di Valchava. Alla realizzazione hanno contribuito anche la vedova dell’artista, Elisabeth Bott (scelta espositiva), Renzo Volpato (rifinitura e collocazione) e Pierluigi Crameri (progetto grafico). Parlando dello scultore, Lardi annota come questi possedesse un’abilità artigianale straordinaria, fu un uomo dallo sguardo serio ed austero ma dal tratto bonario, e la sua opera si contraddistingue in un’intensa interazione uomo-materia, capace di dar vita a un nuovo soggetto (essenza-presenza) partendo da un pezzo di legno.

Nella gremita sala al terzo piano di Casa Console, il direttore del museo ha poi passato la parola a Miguela Tamò, scultrice artista nata a Poschiavo nel 1962 ed oggi residente a Basilea. Recentemente insignita del premio artistico «Somedia» 2017, nella sua schietta e ponderata relazione, essa ha parlato di un gradito riavvicinamento e incontro con l’amico e collega artista scomparso, attraverso le opere selezionate per quest’esposizione. Invitata a tenere un discorso inaugurale, si è posta subito in dialogo con le ventotto sculture selezionate, appendendone le fotocopie a una parete di legno nel suo studio di Basilea. Lo sguardo che Miguela Tamò getta su queste opere risulterà essere tripartito: quello della bambina, quello della collega e quello a posteriori.

Miguela Tamò ha passato l’infanzia a Poschiavo in una casa attigua a quella dei Bott. I rapporti fra le famiglie erano amichevoli e Miguela cresce a stretto contatto con il divenire artistico di Not Bott, in un ambiente connotato da altri artisti e uomini di cultura quali ad esempio Wolfgang Hildesheimer e Jan Wisse, che conferivano al borgo di montagna un tratto quasi cittadino. Essa racconta di quando Not Bott mise in bella mostra una scultura sul cancello di Via da Spultri: una testa con una chioma astratta che ora si trova presso il museo di Valchava. Fu il segno tangibile dell’intendimento a consacrarsi in modo definitivo alla scultura. Miguela Tamò rammenta poi di come egli fosse un lavoratore instancabile, arrivando a privare sé stesso e la famiglia delle vacanze, tanto era dedito all’arte. Ricorda il profumo del legno che si respirava in casa Bott, le enormi radici o i ceppi che si trovavano fra gli alberi da frutta nel giardino di casa, l’intenso e logorante rapporto che l’artista aveva con le sculture. Caratteristiche che in parte riscontra anche lei oggi nel suo lavoro.

Il secondo sguardo riconduce al periodo successivo ai suoi studi accademici, quando Miguela Tamò impara a conoscere Not Bott da collega: in occasione delle mostre collettive presso il museo d’arte dei Grigioni a Coira, oppure durante le riunioni della società degli artisti grigionesi (Visarte), di cui egli fu un membro particolarmente attivo. Nel 1994 gli fu dato l’incarico di elaborare l’edizione annuale (omaggio) per tutti i membri della società, consistente solitamente in un foglio. Quando presentò il lavoro, brandì la piccola scultura mostrandola ai presenti con queste parole: “Mi avevate chiesto un foglio? Eccovi la mia foglia”. Questo episodio, secondo la Tamò, è sintomatico del carattere schietto e autentico, a volte umoristico di Bott, che si riflette anche nella sua opera.

Il terzo sguardo è invece il risultato della distanza spazio-temporale rispetto all’uomo scomparso, un processo che facilita l’astrazione. La sorpresa è stata per Tamò osservare la coerenza nello sviluppo artistico di Bott, che in questa mostra parte cronologicamente con «Trovatello» e finisce con «Tritoni». In questo cammino artistico, indissolubilmente legato a quello della vita, si individuano tre fasi distinte. Nella prima fase Bott scolpisce prevalentemente dal basso verso l’alto radici o ceppi. Il suo è un rapporto ancora vincolato alla forma grezza della materia. Poi egli passa ad una fase intermedia o classica, caratterizzata da forme più concave, convesse e lineari, dove il processo di emancipazione dalla materia si fa più evidente. Infine, nella terza fase, l’artista si libera dal legno riducendolo in sculture enigmatiche, sentinelle dalle forme elaborate architettonicamente che rimandano alla scultura africana. Compiendo queste tre fasi, arte e vita di Not Bott chiudono un cerchio, nel quale la fine potrebbe anche essere l’inizio.

Dopo questa vibrante testimonianza i presenti sono passati al piano terra, dove davanti alle opere esposte Gian Casper Bott ha illustrato alcuni aspetti e curiosità della tecnica scultorea del padre. Dalla fusione in bronzo, utilizzata in alcuni casi partendo da un’anima in legno, al pesante lavoro di estrazione delle radici, che venivano poi accuratamente fatte essiccare per un periodo di tre, quattro anni; dal dialogo che il padre instaurava con le radici, fino alla definizione del titolo per la prima opera matura di Not Bott, che verso la fine degli anni Sessanta segna definitivamente l’abbandono dell’arte figurativa: quel «Trovatello» che strizza l’occhio ai più blasonati objet trouvé dell’arte moderna, ma che a differenza di quest’ultimi è il risultato di un lungo processo scultoreo sulla materia lignea.

Not Bott è dunque ancora tra noi attraverso le sue opere: una lezione in cui l’arte sembra primeggiare fra le numerose attività umane.


Achille Pola